venerdì 20 marzo 2015

NO AI COOKIES PER PROFILAZIONE SENZA CONSENSO




Obbligo DI ADEGUAMENTO per i Titolari o Gestori di Siti Web entro il 03 Giugno 2015

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del n 126 del 03.06.2014 del Provvedimento del Garante della Privacy intitolato: “Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie - 8 maggio 2014”, c.d. Cookie Law (in attuazione della direttiva comunitaria 09/136/CE) ha segnato il decorso del termine di un anno  per gli editori dei siti web al fine di regolarizzare la loro posizione.In estrema sintesi la normativa ha posto sugli editori l'obbligo di acquisire il consenso preventivo e informato degli utenti alla installazione di cookie usati per fini diversi da quelli meramente tecnici.Le conseguenze del mancato rispetto di detta disciplina prevedono  sanzioni amministrative  il cui valore oscilla dai seimila ai centoventimila euro.


"Con questo provvedimento, maturato anche attraverso la consultazione dei vari stakeholders, diventa più facile il rispetto degli obblighi previsti dalla normativa europea. La procedura semplificata consentirà agevolmente ai navigatori di manifestare un consenso davvero libero e consapevole" Antonello Soro, presidente del Garante privacy



Conseguenze del mancato rispetto della disciplina in materia di cookie.Si ricorda che per il caso di omessa informativa o di informativa inidonea, ossia che non presenti gli elementi indicati, oltre che nelle previsioni di cui all'art. 13 del Codice, nel presente provvedimento, è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da seimila a trentaseimila euro (art. 161 del Codice).L'installazione di cookie sui terminali degli utenti in assenza del preventivo consenso degli stessi comporta, invece, la sanzione del pagamento di una somma da diecimila a centoventimila euro (art. 162, comma 2-bis, del Codice).L'omessa o incompleta notificazione al Garante, infine, ai sensi di quanto previsto dall'art. 37, comma 1, lett. d), del Codice, è sanzionata con il pagamento di una somma da ventimila a centoventimila euro (art. 163 del Codice - Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie - 8 maggio 2014 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014)



Orbene, al fine di comprendere il provvedimento in esame appare opportuno rammentare che i cookies, dall'inglese biscotti, sono file di testo che i siti web visitati durante la navigazione  inviano al terminale (computer, tablet, smartphone, notebook) dell'utente, ove vengono memorizzati, per poi essere ritrasmessi agli stessi siti alla visita successiva, al fine di identificare chi ha già visitato il portale web in precedenza e, ad esempio, ricordare la lingua predefinita o le credenziali di accesso ad una area riservata. Posta la varietà e complessità di tali file di informazioni lo stesso legislatore ha deciso di suddividerli in due macro-categorie:cookie "tecnici" e c.d. cookie "di profilazione". 



Alcuni cookie vengono definiti 
cookie tecnici e si intendono “ quelli utilizzati al solo fine di "effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell'informazione esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente a erogare tale servizio" -  cfr. art. 122, comma 1, del Codice - Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie - 8 maggio 2014 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014) 

Al contrario vengono definiti 

cookie di profilazione quelli “volti a creare profili relativi all'utente e vengono utilizzati al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dallo stesso nell'ambito della navigazione in rete”- Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie - 8 maggio 2014 (Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014)  In virtù della differenza e della diversa invasività che tali strumenti compiono nella sfera privata degli utenti, la normativa  prevede che, mentre per i cookie tecnici l'utente debba semplicemente essere informato della informativa della privacy art. 13 D.lgs. 196/2003,  per il caso dei cookies di profilazione lo stesso utente debba essere adeguatamente informato sull'uso degli stessi ed esprimere così il proprio valido consenso preventivo (opt-in).(art. 122, comma 1, del Codice). 

Si ricorda, inoltre, che l'uso dei cookie  finalizzato a

"definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, ovvero a  monitorare l'utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti" [1] è compreso fra i trattamenti soggetti all'obbligo di notificazione al Garante ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. d), del Codice della Privacy che ritualmente recita
“Il titolare notifica al Garante  il trattamento di dati personali cui intende procedere solo se il trattamento riguarda…. dati trattati con l'ausilio di strumenti elettronici volti a definire il profilo o la personalità dell'interessato, o ad analizzare abitudini o scelte di consumo, ovvero a monitorare l'utilizzo di servizi di comunicazione elettronica con esclusione dei trattamenti tecnicamente indispensabili per fornire i servizi medesimi agli utenti; Quindi, nel momento in cui l'utente accederà ad un sito web,( sia essa la pagina iniziale o altra pagina) deve pertanto essergli presentato un banner con la c.d. prima informativa "breve", contenente le seguenti indicazioni: a)  che il sito utilizza cookie di profilazione al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dall'utente nell'ambito della navigazione in rete; b) che il sito consente anche l'invio di cookie "terze parti" (laddove ciò ovviamente accada); c) il link all'informativa estesa, che deve contenere le seguenti ulteriori indicazioni relative a: d) l'indicazione che alla pagina dell'informativa estesa è possibile negare il consenso all'installazione di qualunque cookie; e) l'indicazione che la prosecuzione della navigazione mediante accesso ad altra area del sito o selezione di un elemento dello stesso (ad esempio, di un'immagine o di un link) comporta la prestazione del consenso all'uso dei cookie 

L'informativa estesa, adeguatamente redatta in una altra pagina del sito, deve contenere le indicazioni relative a:- uso dei cookie tecnici e analytics - possibilità di scegliere quali specifici cookie autorizzare;- possibilità per l'utente di manifestare le proprie opzioni in merito all'uso dei cookie da parte del sito anche  attraverso le impostazioni del browser, indicando almeno la procedura da eseguire per configurare tali  impostazioni;" - Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei Cookie - 8 Maggio 2014 ( Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 13 Giugno 2014 )


Infine, si rileva che la  disciplina tiene in conto il differente soggetto che installa i cookie sul terminale dell'utente, a seconda che si tratti dello stesso gestore del sito che l'utente sta visitando (c.d. "editore") o di un sito diverso che installa cookie per il tramite del primo (c.d. "terze parti").


L'editore, infatti, viene a rivestire una duplice veste: per un lato è il titolare del trattamento dei cookies installati direttamente sul proprio sito; dall'altro è un intermediario tecnico fra l'utente ed i terzi (poiché non è contitolare con le terze parti per i cookies che le stesse installano per il loro tramite).In virtù di tale distinzione, dunque, l'editore non viene obbligato ad inserire sull' home page del proprio sito anche il testo delle informative relative ai cookie installati per il suo tramite dalle terze parti.

[1] Individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei cookie - 8 maggio 2014(Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 126 del 3 giugno 2014)


Avv. Fabio Maggesi

Dott.ssa Eleonora Mattia







mercoledì 18 marzo 2015

Molestie in post sulla Facebook page di terzi

FACEBOOK : MOLESTIE A MEZZO DI POST SU PAGINA PERSONALE 
PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE CON SENTENZA 37596/2014



Con la pronuncia che si segnala nel presente Articolo, depositata il 12 settembre 2014, i giudici della Prima Sezione della Corte di Cassazione hanno affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 660 c.p. (molestie o disturbo alle persone), va considerato luogo aperto al pubblico la piattaforma sociale Facebook, quale luogo “virtuale” aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete.

Per inciso:La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che Integra il reato di cui all'art. 660 c.p. (Molestia o disturbo alle persone) l'invio di messaggi molesti, "postati" sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa, trattandosi di luogo virtuale aperto all'accesso di chiunque utilizzi la rete e quindi di "luogo aperto al pubblico"” (Cass. pen. Sez. I, 11-07-2014, n. 37596)
Nessun dubbio può essere posto sulla circostanza che internet - e nella specie un social network - costituisca a tutti gli effetti un “luogo” di incontro fra più soggetti, non potendosi operare alcuna differenza (giuridicamente rilevante) fra “luogo reale” e “luogo virtuale”.Allo stesso tempo, però, diviene difficile poter negare che un social network come facebook, aperto ormai anche al Mobile, non possa considerarsi come un luogo di incontro fruibile a chiunque e quindi per analogia assolutamente un luogo aperto al pubblico.


Si ricorda che, a mente dell'Art. 660 c.p, viene stabilito quanto segue:
"Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino ad € 516"

Con riferimento alla fattispecie di reato in questione la Corte ha ritenuto «innegabile che la piattaforma sociale Facebook (disponibile in oltre 70 lingue, che già nel 2008 contava più di 100 milioni di utenti) rappresenti una sorta di piazza immateriale che consente un numero indeterminato di accessi e visioni, rese possibili da una evoluzione scientifica che il Legislatore non era arrivato ad immaginare».

Una Sentenza come questa non potrà che ritenersi di importante contestualizzazione per chiunque volesse tutelare il proprio "Diario" da "messaggi indesiderati e continui" che, alla luce di quanto indicato, non potranno che considerarsi molesti e quindi equiparati a quelli posti in essere all'interno della "reale vita quotidiana" (Luogo Reale = Luogo Virtuale)

martedì 3 marzo 2015

Novità IVA 2015 - VAT MOSS e Servizi Digitali in UK

NOVITA' IVA / VAT   PER I SERVIZI DIGITALI



Già con la normativa del “distance selling”, il legislatore europeo ha cercato di regolamentare la gestione IVA nello scambio di merci diretto tra le società e i consumatori finali all’interno dell’unione Europea.
Seguendo le regole del distance selling, una società sarebbe obbligata ad aprire partita IVA negli stati in cui i propri consumatori finali risiedono. Nel Regno Unito, ad esempio, l’apertura di VAT diventerebbe obbligatoria qualora una società residente in un qualsiasi stato membro dell’Unione Europea vendesse a consumatori finali in UK per cifre superiori alle 70,000£ annue.
Tuttavia, il distance selling riguarda la vendita e la circolazione di beni; la direttiva non fa alcun riferimento alla prestazione di servizi.
Tale lacuna normativa è stata superata con la direttiva IVA 2015.
La nuova legge sull’IVA, chiamata legge GOOGLE, si riferisce alla vendita di servizi digitali ai consumatori finali.
Viene imposto di applicare a tali tipi di transazioni commerciali l’aliquota IVA del paese in cui il consumatore è residente.
I servizi digitali regolati da questa novità normativa sono:
  • Servizi di Broadcast, radio e TV;
  • Servizi di telecomunicazione (call waiting, call forwading…);
  • Servizi forniti escusivamente elettronicamente (es. e-book);
  • E-learning l’intervento di un tutor non è previsto.
Questa nuova legge ha portato ad un aumento degli obblighi di compliance poiché le aziende che forniscono questo tipo di servizi dovranno ottenere dai proprio consumatori almeno due documenti (oltre l’indirizzo IP) che provino la residenza del consumatore stesso. Inoltre, bisognerà conservare nei propri archivi tale documentazione per 10 anni dopo la vendita.
Per la corretta applicazione di questa nuova legge, è molto importante identificare:
  • Il paese di residenza del consumatore finale, per individuare l’aliquota corretta applicabile;
  • Il luogo di fornitura del servizio (in casi si forniscano reti telefoniche fisse o servizi di reti Internet, vale il luogo di fornitura).
Le novità introdotte vanno a gravare maggiormente sulle piccole e medie aziende, che si trovano a dover affrontare un aumento degli adempimenti burocratici con un incremento di costi spesso non sostenibile.
Il legislatore inglese ha cercato di porre una soluzione a questo problema, offrendo la registrazione allo schema VAT MOSS.
I micro-businesses inglesi che hanno un fatturato inferiore a quello minimo per la richiesta del numero VAT (81,000£) potranno registrartsi per lo schema MOSS (Mini One Stop Shop) che permetterà fino al 30/06/2015 di identificare la location dei propri clienti sulla base delle informazioni fornite dai provider dei servizi di pagamento.
Una volta registrati per lo schema VAT MOSS, bisognerà presentare una dichiarazione trimestrale, la cui data di scadenza sarà fissata il giorno 20 del mese successivo (es. per il trimestre 01-01/31-03 la scadenza sarà il 20-04). In tale data bisognerà anche pagare il relativo debito verso l’autorità fiscale inglese (HMRC).
L’HMRC (per esempio) inoltrerà le parti rilevanti della dichiarazione ad ogni stato in cui i consumatori risulteranno residenti o comunque dove i servizi sono stati prestati e si dovranno pagare le tasse nella giurisdizione assegnata.
L’applicazione allo schema VAT MOSS permette di non dover aprire una partita IVA in ogni stato membro in cui i propri clienti risultano essere residenti.

Parere fornito da
Tax & Advise LTD partner di www.studiomaggesi.it
Ulteriori informazioni o Articolo completo sul blog di www.meplaw.net

lunedì 9 febbraio 2015

MATRIMONIO MISTO : ITALO / EGIZIANO

MATRIMONIO MISTO : ITALO / EGIZIANO



Il diritto egiziano in materia di diritto di famiglia è carente di una chiara codificazione unitaria. Nel corso degli anni si sono susseguite una serie di normative ad implementazione o cassazione delle precedenti. La normativa islamica più nota è la “Shariaa”, che comprende sia norme giuridiche, religiose, sia  morali.
 - Rispetto ai rapporti patrimoniali, il regime legale previsto nel diritto egiziano è quello della separazione dei beni.
Non è ammissibile la comunione dei beni, salvo logicamente nei casi in cui i beni siano intestati ad entrambi i coniugi, perché ciò sarebbe contrario alla Shariaa ( legge musulmana, ma anche di Stato ). 
“…….Si ricordi che l'ordinamento egiziano ed i suoi diritti in generale sono assorbiti dall'ordinamento francese…… “ .
  Anche quelle che non sono leggi religiose islamiche, devono comunque rispettare le regole basi della Shariaa.
  Nella Shariaa, quindi, i coniugi sono considerati finanziariamente due persone fisiche indipendenti e per tale motivo non si prevede la comunione dei beni.
-  Il divorzio, sia a seguito di matrimonio secondo il rito cristiano ortodosso, sia a seguito di rito musulmano ( le due religioni prevalenti in Egitto ), è previsto in Egitto ed è concesso sia al marito, sia alla moglie.
Nel rito musulmano, è ammissibile e ( addirittura ) per il korano non è considerato peccato.
E’ opportuno ricordare, infatti, che secondo il rito musulmano, la normativa politico/religiosa prevede la possibilità ( ma soltanto per il marito ) di avere max 4 mogli.
Tale possibilità concessa al solo marito è, ad oggi, fonte di controversie nella coppia e spesso tale normativa, mal sopportata dalle mogli, giustifica ed induce queste a rivolgersi all’istituto del divorzio.
Per quel che concerne il divorzio laddove, come sopra detto, la richiesta è possibile sia da parte del marito che da parte della moglie, va fatta una differenziazione in base alla religione di appartenenza.
Se il coniuge è egiziano cristiano ortodosso, a differenza dal musulmano, il divorzio diventa ammissibile solo in questi casi:
1)      adulterio (occorrono i testimoni per far valere questa istanza);
2)      cambio della religione (ad esempio la conversione all'Islam).
  Nei casi sopracitati ( a differenza da quello musulmano ) di matrimonio celebrato secondo il rito cristiano/ ortodosso, è soltanto la Chiesa ad essere autorizzata a rilasciare il divorzio.
  In rari casi, alcuni egiziani cristiani si sono rivolti al Tribunale per ottenere il divorzio e dopo processi durati diversi anni ( almeno 5 ) l'hanno ottenuto, ma non hanno più la possibilità di risposarsi né in chiesa né in comune.
  Visto lo scontro giuridico tra le due dottrine, Chiesa e Stato, si sta elaborando una nuova normativa per i cristiani con la quale si vuole stabilire la possibilità di rivolgersi al Tribunale senza dover andare incontro a processi interminabili.
Si ricordi che nel diritto egiziano ( e soltanto per i cristiani ), non è ammissibile il matrimonio civile in comune.
Il divorzio, come già riportato, può essere anche richiesto dalla moglie, avvalendosi della legge “detta” Kholaa ( seguendo la legge islamica ed il rito musulmano ) che permette alla moglie di richiedere il divorzio senza necessario consenso del marito a condizione di rinunciare a tutti i diritti economici. La legge del Kholaa è regolata dall'articolo 20 della legge n°1 del 2000 e successive ( Legge n.10/2004 e Legge n.11/2004 ) che prevede che la moglie rinunci al proprio mantenimento economico dovuto dal marito. Comunque, tale obbligo del marito ( ma soltanto quello del mantenimento dei figli ) rimane vigente qualora i figli siano ancora minorenni.
-  Il contratto matrimoniale, inoltre, può prevedere delle condizioni aggiuntive rispetto ai diritti ed ai doveri dei coniugi. E' bene dunque, al momento della celebrazione del matrimonio, inserire delle clausole a maggior chiarezza nell'eventualità dello scioglimento del vincolo tramite divorzio.
-  Per quel che concerne la podestà genitoriale, essa è esercitata dal padre che si deve occupare anche del mantenimento della famiglia. La madre invece si occupa, prevalentemente, della custodia dei bambini. La legge n°4/2005 concede alla donna, a seguito di avvenuta richiesta ( sia proveniente dal marito, sia dalla moglie ) ed ottenimento divorzio, la custodia dei bambini fino all'età di quindici anni.
-  Il figlio nascenti da matrimonio misto  ( celebrato in Egitto ) ma avvenuto in territorio italiano ha, comunque, la possibilità di ottenere la doppia cittadinanza ( trasmessa per “ diritto di sangue” ).
- Nel dettato normativo egiziano, non si rinvengono determinate specifiche riguardo ai rapporti personali tra coniugi. Resta comunque solida la sottoposizione e l'obbedienza della moglie al marito. Alla moglie viene riconosciuto il diritto al mantenimento (artt.1 e 2, legge n° 25/1920) per tutta la durata del matrimonio anche se essa possiede risorse economiche personali oppure è di religione diversa da quella del marito. Il mantenimento sarebbe dovuto in quanto corrispettivo della sottomissione ed obbedienza al marito.
Alla donna viene, inoltre, riconosciuto il diritto al lavoro.
-  Per quanto riguarda la questione del passaporto, è il nome del marito che si scrive sul passaporto egiziano della moglie e soltanto quando ella avrà acquisito la cittadinanza egiziana. Nel caso in cui la moglie dovesse partire dall'Egitto con passaporto egiziano, ella potrebbe partire senza il mandato ( concessione ) del marito. Al contrario, se con lei dovessero partire anche i figli, per loro è necessario ottenere il mandato del marito ( una volta questo era necessario anche per la moglie).
Per i titolari di passaporto italiano ovvero doppio passaporto, il problema precedentemente riportato non sussiste ed il soggetto titolare di passaporto potrà lasciare l’Egitto senza particolari consensi e/o concessioni.
-  Essendo il matrimonio celebrato in Egitto, non è possibile adottare il diritto italiano atto a regolare i rapporti tra i coniugi, ma si dovrà seguire il diritto egiziano.
Qualora, invece, si ottenga la residenza in Italia ( a seguito di lunga permanenza in tale territorio a avvenuta concessione di permesso di soggiorno e/o cittadinanza ), si potrà soggiacere alle normative italiane anche in merito a diritti di natura famigliare.
Tale giurisdizione è riconosciuta ed applicabile soltanto quanto lo Stato italiano è stato reso edotto della regolare ed effettiva congiunzione matrimoniale dei due soggetti.
E’ sempre consigliabile, quindi ed in presenza di matrimoni misti ( italo/egiziani ), registrare il matrimonio contratto in Egitto, anche in Italia.
-  I matrimoni misti, contratti nel territorio egiziano, si effettuano ( celebrano ) presso il Ministero della Giustizia in un ufficio preposto a questo; quindi si tratta di un atto più civile che religioso (sempre nel rispetto, comunque, delle regole dettate dalla Shariaa ).
 -  E', altresì, ammissibile il matrimonio per procura, ma si tratterebbe di ottenere certi tipi di mandati ( richieste e documenti amministrativi) rilasciati in Italia, tradotti e legalizzati dal Consolato egiziano a Roma (per esempio) e l'iter non è molto breve e semplice. E’ poco utilizzato e non consigliabile se non in casi particolari di diritto penale ovvero internazionale.
 Avv. Luigi Maggesi - www.studiomaggesi.it 

Yahoo non è responsabile per le violazioni di copyright di Mediaset

Corte d’Appello di MILANO: 

E la sentenza stabilisce che Yahoo non è responsabile delle violazioni del copyright di Mediaset


La Corte di Appello di Milano ha accolto il ricorso di Yahoo! contro la sentenza di violazione del diritto d’autore, emessa a favore del Gruppo Mediaset nel 2011.Yahoo! Italia era stata condannata a causa di alcuni video caricati dagli utenti sulla piattaforma “Yahoo! Video”.La stessa oggi non risulta più in attività. I video incriminati erano tratti da trasmissioni televisive di RTI (Gruppo Mediaset) quali Amici, Il Grande Fratello, Striscia La Notizia, ecc.




Il mancato riconoscimento della neutralità dell’intermediario era motivato da un presunto controllo sui video da parte di Yahoo! che avrebbe reso la piattaforma un hosting provider “attivo”, a differenza dei provider “passivi” tutelati dalla Direttiva Comunitaria.In sostanza, la Corte aveva riconosciuto un’attività di tipo editoriale da parte della piattaforma, in virtù della funzione di indicizzazione automatica e, paradossalmente, della possibilità di rimozione di contenuti segnalati come illeciti.
Ciò premesso, il giudice aveva individuato la colpevolezza di Yahoo! anche nella mancata rimozione di tutti i video in seguito alla diffida ricevuta da RTI. Una motivazione a cui Yahoo! aveva risposto invano nel corso del giudizio, sostenendo di avere rimosso subito i 9 video indicati e di aver chiesto a RTI di specificare ulteriori URL di video da rimuovere e di non aver mai ricevuto la lista completa.La Corte di Appello, nella sentenza che ribalta la decisione di primo grado ha sottolineato come Yahoo! avesse puntualmente provveduto a rimuovere anche ulteriori 218 video, nel momento in cui i relativi URL sono stati indicati da RTI, in fase di giudizio. Per quanto riguarda la responsabilità della piattaforma, citando alcune decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea quali quelle relative al caso SABAM-Scarlet, quelle relative al caso SABAM-Netlog e quelle relative al caso Telekebel, il giudice d’appello ha rigettato le interpretazioni in cui si era prodotto il Tribunale di Milano nel 2011.Non ci sono, infatti, i presupposti per considerare la piattaforma come appartenente ad una diversa tipologia di hosting provider non tutelata dalla Direttiva 2000/31/CE.Yahoo! è pertanto un semplice intermediario e come tale non era tenuto ad individuare autonomamente contenuti in violazione dei diritti di d’autore di RTI, né avrebbe dovuto approntare un sistema di filtri che prevenisse le successive violazioni.RTI è stata dunque condannata a risarcire Yahoo! delle spese processuali di primo e secondo grado, per un ammontare totale di 244.000 euro.Quanto richiamato non può che sposare in pieno la giurisprudenza vigente.Yahoo! Italia, quindi, non potrà che considerarsi un ISP "passivo" e per tale motivazione a nulla valgono le eventuali azioni mosse nei confronti dello stesso perchè così disciplinato dalla normativa nazionale (D.lgs. 70/2003) agli Artt. 15,16,17 e 18 della stessa.


Secondo il giudice di primo grado, nonostante i video fossero stati diffusi dagli utenti, "la violazione era da ritenersi in capo a Yahoo! in quanto l’attività della piattaforma non poteva essere ricondotta alla limitazione di responsabilità prevista dall’art.14 della Direttiva Europea sul Commercio Elettronico (2000/31/CE) attuata dal d.lgs 70/2003"