lunedì 19 dicembre 2016

Diritto all’oblio negato per casi giudiziari più gravi

Nelle Vicende Giudiziarie di Grave Entità, 
l'interesse Pubblico a conoscere le notizie dovrà PREVALERE sul DIRITTO All'Oblio delle persone coinvolte.


Una storica sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea ( maggio 2014 ) sanciva l'introduzione del cosidetto DIRITTO ALL'OBLIO IN RETE.
Ad oggi molti gli interventi del Garante della Privacy in Italia ed è recente la motivazione con cui il Dott. Soro sancisce quest'ultimo principio.


"IL DIRITTO ALL'OBLIO E' NEGATO PER I CASI GIUDIZIARI PIU' GRAVI
soprattutto se l' Iter processuale si è concluso da poco


Con tale motivazione il Garante della Privacy ha dichiarato l'infondata richiesta di DEINDICIZZAZIONE di alcuni articoli presentata da un ex consigliere comunale coinvolto nel 2006 in una indagine per corruzione e truffa poi conclusa con sentenza del 2012 di patteggiamento e pena interamente coperta da indulto.
Questi aveva presentato istanza di rimozione dei link facenti riferimento agli articoli pubblicati dai vari siti che illustravano la propria vicenda.
Dopo essersi rivolto a Google invano l'ex consigliere aveva presentato ricorso al Garante chiedendo a questi la rimozione di alcuni URL relativi proprio all'indagine in cui era rimasto coinvolto sicchè ancora apparivano nei risultati di ricerca del noto motore di ricerca.

Secondo l'ex Consigliere la permanenza in rete di tali notizie, risalenti a circa 10 anni prima e ormai prive di interesse, gli avrebbero causato un danno di immagine, alla vita privata ed all'attuale attività lavorativa, peraltro nemmeno più legata ad incarichi di natura pubblica.

In accordo con le Linee guida dei Garanti Europei, l'Autoritò ha sottolineato che sebbene il trascorrere del tempo sia la competente essenziale del DIRITTO All'OBLIO, questo elemento incontra un LIMITE quando le informazioni di cui si chiedere la deindicizzazione siano riferite a reati gravi che hanno destato un forte impatto sul sociale.

Inoltre, nonostante fosse trascorso un certo lasso di tempo dai fatti riportati negli articoli ancora online, nel caso specifico meritava considerazione il fatto che la vicenda giudiziaria si fosse definita solo pochi anni prima.

Oltre a ciò, alcune pagine web ancora in rete richiamavano la notizia in articoli relativi ad un maxi processo sulla corruzione pubblicati fino al 2015 e la loro relativa attualità dimostra l'interesse ancora vivo dell'opinione pubblica relativamente ad i fatti di cui all'ex consigliere

Avv. Fabio Maggesi

lunedì 18 luglio 2016

PRIVACY SHIELD Adottato dalla Commissione Europea

Al Via il nuovo accordo che supera il vecchio SAFE HARBOR; Obblighi Rigorosi per tutte le imprese che operano sui dati, sulla trasparenza e sulla Tutela dei Diritti.


Questi i principi fondamentali sui cui si fonda il nuovo Accordo fra EU e USA per gli scambi oltreoceano dei dati personali per finalità di natura commerciale.

Ormai da pochi giorni la Commissione Europea ha completato la procedura di Adozione del "EU-US Privacy Shield".
Sembrerebbe che lo Scudo per la Privacy abbia ottenuto il giusto riscontro e requisiti di stabilità adeguati per potersi mettere in campo.
Il Privacy Shield oggi, dunque, propone significativi passi in avanti se si pensa al punto di partenza tenutosi nel lontano 2000 su impulso dell'ex Presidente dell'Autorità Garante Italiana per la Privacy, Stefano Rodotà, nonchè presidente illo tempore del Gruppo dei Garanti Europei  ( c.d. Gruppo Art. 29 della Direttiva Comunitaria 95/46/CE ).

Devo, in ogni caso, anche in vista dei ragionevoli sforzi, ritenere che si sia raggiunto un ottimo compromesso considerando anche il punto di vista della Famosa Sentenza  della Corte di Giustizia Europea che ha invalidato nel 2015 il precedente Safe Harbor perchè privo delle sufficienti garanzie sulla tutela della riservatezza dei dati degli utenti europei trasferiti oltreoceano.

La decisione della Corte, infatti, accoglieva ( si ricorda ) il ricorso di un cittadino Austriaco (un certo Max Shrems ) nei confronti di Facebook che, muovendo rivelazioni riguardo al caso Snowden, denunciava le violazioni al diritto alla riservatezza da parte della NSA (National Secutiry Agency) ritenendo dunque il diritto Statunitense insufficiente alla protezione dei dati trasferiti dall'EU.

Con il Privacy Shield, quindi, oggi USA ha escluso attività indiscriminate di sorveglianze di massa sui dati personali trasferiti da EU a USA assicurando, così, meccanismi di vigilanza determinati; 
ed infatti l'Intelligence nazionale ha garantito come la raccolta di dati di massa sarà "eventualmente ammessa" esclusivamente laddove ne ricorrano i presupposti.

In vista del nuovo Accordo, di non facile ripetizione, il Dipartimento del Commercio degli US, sottoporrà le imprese aderenti allo Scudo a verifiche e ad aggiornamenti periodici onde accertare che vengano rispettate le regole sancite.
Diversamente, l'azienda sarà sanzionata ed eventualmente "cancellata" dall'elenco dei c.d. aderenti.

Altra cosa importantissima sarà la possibilità, per il cittadino Europeo che riterrà di aver subito un abuso, di presentare un esposto mediante semplicissimi meccanismi di composizione di semplice fattuizione e dai costi contenuti.
Per il caso di specie, sarà l'azienda stessa a risolvere il caso denunciato oppure saranno offerte delle "Alternative Dispute Resolutions" presso le rispettive autorità nazionali che, per la determinazione dell'eventuale controversia, collaboreranno con la Commissione Federale del Commercio Americano onde assicurare che i casi di reclamo sottoposti dai propri cittadini siano "realmente" esaminati e quindi risolti.
Laddove non vengano risolte le problematiche così come insorte sarà, in ogni caso, ammesso un Arbitrato così come, nei casi che riguarderanno la sicurezza nazionale, il caso irrisolto sarà vagliato della figura del Mediatore ( figura indipendente dai Servizi di Intelligence degli US ).


Con tale Scudo ci auguriamo di poterci trovare finalmente nel futuro, laddove USA, ancora si ritiene, avrebbe invece voluto ancorare ed equiparare il trattamento dei dati provenienti da Oltreoceano, come ad un trattamento di merce di massa, al pari della merce materialmente trattata.
Da domani, invece, ci si aspetteranno precisazioni sulla raccolta dei dati in blocco, importanti rafforzamenti del meccanismo di mediazione nonchè una maggiore esplicitazione degli obblighi delle imprese affinchè queste non possano più gestire i medesimi dati con "superficialità" come nel precedente accordo.


Tesseramento FIGC minore Extracomunitario

IL PRIMO  TESSERAMENTO  PRESSO  LA  FIGC  DEL MINORE EXTRACOMUNITARIO E’ OBBLIGATORIO LADDOVE LO RICHIEDAIL TUTORE



L’art 19 del regolamento FIFA dispone che:




TRASFERIMENTI INTERNAZIONALI DI MINORI



Tutela dei minori
1. I trasferimenti internazionali dei calciatori sono consentiti solo se il calciatore ha
superato il 18° anno di età.

2. A questa regola si applicano le seguenti tre eccezioni:
a) I genitori del calciatore si trasferiscono nel Paese della nuova società per motivi indipendenti dal calcio.
b) Il trasferimento avviene all’interno del territorio dell’Unione Europea (UE) o dell’Area Economica Europea (AEE) e il calciatore ha un’età compresa fra i 16 e i 18 anni. In questo caso la nuova società è tenuta a soddisfare i seguenti obblighi minimi:
i) fornire al calciatore un’adeguata istruzione e/o formazione calcistica in linea con i più elevati standard nazionali;
ii) garantire al calciatore una formazione accademica e/o scolastica e/o formazione professionale, in aggiunta alla sua istruzione e/o formazione calcistica, che consenta al calciatore di perseguire una carriera diversa da quella calcistica nel momento in cui dovesse
cessare l’attività professionistica;
iii) adottare tutte le misure necessarie affinché il calciatore sia seguito nel miglior modo possibile (ottime condizioni di vita presso una famiglia ospitante o una struttura della società, nomina di un tutore all’interno della società, ecc.);
iv) all’atto del tesseramento del calciatore, dimostrare alla Federazione di appartenenza di avere soddisfatto tutti i succitati obblighi;
c) Il calciatore vive in una località ubicata ad una distanza massima di 50 km dal confine nazionale e la società all’interno della federazione confinante per la quale il calciatore desidera essere tesserato si trova altresì a 50 km di distanza dallo stesso confine. La distanza massima fra il domicilio del calciatore e la sede della società sarà quindi di 100 km. In questi casi, il calciatore deve continuare ad abitare nel proprio domicilio e le due
Federazioni interessate dovranno dare il loro esplicito consenso.

3. Le stesse condizioni riportate nel presente articolo si applicano per quanto riguarda il
primo tesseramento dei calciatori che hanno una nazionalità diversa da quella del paese
nel quale richiedono di essere tesserati per la prima volta.

4. Ogni trasferimento internazionale, ai sensi del paragrafo 2 del presente articolo, ed
ogni 
primo tesseramento ai sensi del paragrafo 3 sono soggetti all’approvazione di
una sottocommissione nominata all’uopo dalla Commissione per lo status dei calciatori.
La richiesta 
di approvazione deve essere formulata dalla Federazione che desidera tesserare il calciatore.
Alla Federazione di provenienza viene data la possibilità di esprimere la propria
posizione. L’approvazione della sottocommissione deve essere ottenuta prima di
una 
qualsiasi richiesta di CTI inoltrata da una federazione e/o prima di un primo
tesseramento.
Eventuali violazioni di questa disposizione saranno sanzionate dalla 
Commissione disciplinare ai sensi del Codice disciplinare della FIFA. 
L’irrogazione di sanzioni è prevista non solo a carico della federazione che non abbia inoltrato la propria richiesta alla sotto-commissione, ma anche a carico della Federazione
di provenienza per 
aver emesso il Certificato internazionale di trasferimento senza l’approvazione della sottocommissione,
nonché delle società che abbiano concluso un contratto per il trasferimento
del minore.

5. Le procedure previste per richiedere alla sottocommissione il primo tesseramento e il
trasferimento internazionale di un minore sono contenute nell’Allegato 2 del presente regolamento………………………………..

La Federazione Italiana Gioco Calcio, al fine di arginare e/o limitare il “ Traffico dei minorenni ”, qualora la richiesta di primo tesseramento presenti un elemento contravvenente a tale articolo, prende propria tale disposizione FIFA ed applica rigorosamente e letteralmente tale normativa disponendo, sempre ed in piena autonomia ma in conformità con questa, sia il divieto  del “ trasferimento internazionale di calciatori minorenni “, sia quello di “ primo tesseramento di un calciatore minorenne per la federazione di un paese di cui non ne è cittadino “.
Nel caso di “ primo tesseramento” per minore extracomunitario, tuttavia, la normativa FIFA vigente, laddove dispone all’art. 2 lettera a) “ i genitori del calciatore minorenne si trasferiscono nel paese del tesseramento per una motivazione non legata al calcio “ non prende in giusta e debita considerazione la fattispecie dell’istituto della Tutela e, spesso non consente al tesseramento dell’atleta minore.
L’Istituto della tutela, per consolidata dottrina e giurisprudenza é “… istituto pubblicistico di protezione del minore privo di genitori o con genitori impossibilitati ad esercitare la loro funzione surrogatoria rispetto alla resporsabilità generitoriale, con garanzie rispetto a quest’ultima, se mai  maggiori, se si considera che l’istituto include il complesso delle attività svolte, nell’interesse della persona ad ssa soggetta, non solo dal tutore, ma soprattutto dall’autorità giudiziaria (  Cass. Sez. VI 15.05.2012, n. 7621 ), con il tutore soggetto a più pregnanti controlli rispetto al genitore ( ad es. inventario, cauzione etc. ) e compiti, in una visione moderna dell’ufficium, rivolti, assieme al Giudice tutelare, si all’amministrazione del patrimonio del minore, ma anche alla cura dell’educazione e degli interessi morali dell’incapace che vede, anche il suo matrimonio amministrativo allo scopo di realizzare quello che è il progetto di vita dello stesso… individuare la finalità reciprua della disposizione in esame nell’arginare il cosidetto fenomeno del “traffico di atleti minorenni”, per un verso non può, innanzitutto, voler dire porre sullo stesso piano un tale fenomeno, dai contorni tutt’altro che definiti, chiari e convincenti, con quelli ben diversi,drammatici e criminali della tratta di esseri umani ( vedesi Libro Bianco dello sport della Commissione europea e relativa Risoluzione del Parlamento europeo 2 maggio 2008 ) o del traffico di clandestini, per altro verso,significa, in via principale, dover verificare in concreto se possa ricorrere una tale situazione, altrimenti risolvendosi la norma in una grave forma di disparità di trattamento tra minori comunitari ed extracomunitari e pù in generale, plurime e pregnanti norme Costituzionali ( artt. 2,3 e 18 Cost. ); che in altri termini “combattere lo sfruttamento dei giovani nello sport e la tratta dei bambini ”, applicando rigorosamente le leggi e le norme esistenti ( Risoluzione Parlamento citata, 38 ), non può voler dire violare tali principi, essendo lo sport uno degli strumenti più efficaci per l’integrazione sociale e rimanendo, tra l’altro, essenziale “ accordare particolare attenzione al ruolo dello sport quale luogo per eccellenza per la coesistenza interculturale”, e nonché elemento costitutivo del dialogo e della cooperazione con i paesi terzi ( Risoluzione Parlamento Europeo citata, punto 5 ). ….., di conseguenza, senza neppure mettere in discussone la ratio della disposizione federale, va sempre stabilito caso per caso il diritto al tesseramento del minore extracomunitario onde consentirgli il libero esercizio dei diritti riconosciuti dal nostro Ordinamento anche nello svolgimento dell’attività sportiva, negli stessi termini di accesso consentiti ai calciatori minori trasferiti in ambito comunitario. ( Ordinanza Tribunale di Pescara del 02 novembre 2015 ).
Tale normativa FIFA, infatti, non può ritenersi sempre e comunque applicabile, ma deve considerare l’esistenza di norme gerarchicamente superiori ai propri regolamenti ed a quelli della FIGC; deve, infatti,  soggiacere inevitabilmente ad altro istituto riconosciuto sia in dottrina, sia in giurisprudenza; e quello della tutela del minore ed il riconoscimento della figura del suo tutore non può ritenersi certo non giustamente tutelabile.
 Per tale giusta regola, di conseguenza,  la normativa di diritto italiano e in primis il Codice Civile si dovrà ritenersi sovrapponente a qualsivoglia regolamento sportivo. L’art. 19 FIFA ( recepito anche dalla FIGC ) non può assolutamente contravvenire agli artt. 346 e seguenti del Codice Civile e la richiesta di tesseramento da parte del tutore di un minore che intende giocare al calcio a livello dilettantistico o professionistico non può ottenere alcun diniego federale.
Qualsivoglia diniego, infatti, oltre a contravvenire a norme di diritto civile, dovrà ritenersi chiaramente discriminatorio nei confronti del minore extracomunitario, ai sensi dell’art. 43 T.U 286/1998.
 Ogni qual volta, quindi, la FIFA e la FIGC, pongono in applicazione l’art 19,a) in presenza di tutore, non intendendo considerare, quindi, equiparare la figura dei genitori del minore extracomunitario, che vivono nel loro paese di origine, alla figura del tutore, violano una normativa di diritto covile e tale diniego al tesseramento, deve essere ritenuto chiaramente illeggittimo e tutelabile nelle opportune sedi giudiziarie ordinarie. Il ricorso non può che ottenere sentenza favorevole con relativo “ordine alla FIGC di tesserare il minore”.

In conclusione, quindi, la richiesta di tesseramento per la pratica del gioco del calcio sia a livello dilettantistico, sia professionistico da parte del tutore di un minorenne extracomunitario, non può essere rifiutata da parte della FIGC soltanto sul base del semplice rilievo della mancata presenza dei genitori in Italia.



giovedì 9 giugno 2016

Privacy Shield bocciato dal Garante Europeo

Il Garante Europeo per la Protezione dei Dati ha pubblicato valutazione su quanto predisposto dalla bozza del PRIVACY SHIELD


Il Garante Europeo per la protezione dei dati ha dunque pubblicato una propria valutazione relativamente al Privacy Shield, il famoso SCUDO UE-USA.

Giovanni Buttarelli ha però da subito constatato elementi di importante criticità che non soddisfano quanto previsto dalle precedente intese.
Lo stesso dichiarava 
"Apprezzo gli sforzi fatti per sviluppare una soluzione per sostituire il Safe Harbour ma il Privacy Shield così com'è non è abbastanza solido per far fronte a future analisi legali davanti alla Corte. Nel caso in cui la commissione Europea desideri adottare una "adequcy-decision" saranno necessari infatti dei miglioramenti significativi per rispettare i principi chiave della protezione dei dati con particolare riguardo alla necessità, proporzionalità, ragionevolezza e ai meccanismi di ricorso. Inoltre è tempo di sviluppare una soluzione a più lungo termini nel dialogo oltreoceano". 

In Ottobre si ricorda che una Sentenza della Massima magistratura Europea aveva infatti bocciato l'Approdo Sicuro, il grande database in territorio USA in cui da circa 15 anni i giganti del web andavano ad immagazzinare tutte le informazioni personali dei propri clienti ( Americani o meno ) non garantendo la sufficiente privacy ( recitava la sentenza della Corte ) che ora si sta cercando di adeguare.

Lo scudo ormai si ritiene di estrema necessità poichè risulta fondamentale per porre la giusta tutela a tutti quei dati personali che i cittadini Europei hanno rilasciato iscrivendosi a network o portali, quali Facebook per esempio, afferenti o di stabilità Americana.

Già lo scorso Aprile, infatti, il Garante Europeo aveva presentato l' Article 29 Working Party in cui veniva infatti analizzata la famosa bozza di "adequacy-decision" della Commissione Europea proprio per determinare il livello di protection che avrebbe dovuto garantire il Privacy Shield.
Nel documento si faceva richiamo a diverse lacune necessariamente da colmare.
Prima di divenire effettivo, infatti, il Privacy Shield dovrà ottenere e quindi prevedere quel giusto livello di protezione contro la sorveglianza indiscriminata e quindi tutti quegli obblighi sulla supervisione, la ragionevolezza, la proporzionalità, la trasparenza ed il diritto alla protezione dei dati personali oltre oceano.
Per potersi considerare efficace, ribadisce il Garante Europeo, "il Privacy shield dovrà inoltre basarsi su di un criterio di equivalenza essenziale affinchè questo si applichi, nelle pratica, ai casi di autoregolamentazione da parte di Società private, in cui i dati in transito o trasferiti in USA potrebbero essere valutati in maniera ordinaria dalle forze dell'ordine e da quelle dell'intelligence americana"

Il Privacy Shield, di fatto, cerca di evitare proprio il libero accesso dei servizi americani alle informazioni private dei cittadini Europei cosa che già la Corte Europea considerava "invasiva".

La trasparenza da parte delle Società interazionali dunque che vendono o comprano beni o servizi in Europa dovrà essere alla portata di chiunque così che chiunque possa conoscerne l'utilizzo e prima di ogni cosa l'eventuale legislazione di riferimento.

I lavori proseguono ed ancora non esiste chiarezza sul contenuto esatto di quello che sarà il testo finale dello SCUDO UE_USA ma il Garante Europeo già tiene a sottolineare come l'adozione del Regolamento Europeo, in materia di trattamento dei dati che gli stati membri dovranno applicare alla data del Maggio 2018, già ha previsto quelle che sono le preoccupazioni condivise da europarlamentari, aziende, società ed università e che quindi sarebbe opportuno che "il Legislatore Europeo perdesse maggior tempo affinchè venga trovata la soluzione più idonea e di più amplio respiro anche per una tematica così importante come quella del Privacy Shield"

lunedì 30 maggio 2016

Novità in materia di Divorzio in Russia

IL DIVORZIO CONSENSUALE IN MANCANZA DI FIGLI MINORI   IN RUSSIA



In Russia, ottenere il divorzio in mancanza di minori ed in forma consensuale è di estrema facilità, tempi relativamente brevi e costi molto contenuti. 

Questa semplice soluzione, comunque, si potrà ottenere soltanto qualora la richiesta di divorzio venga presentata personalmente da entrambe i coniugi.

Qualora, invece, un coniuge non possa, ovvero non voglia presenziare a tale incombenza, occorrerà  concedere debita procura di potere di rapprentanza ad un avvocato in Russia;  effettuare relativa autenticazione notarile; effettuare la traduzione di questa  in lingua russa ed apostillarla. Questa prassi, comunque non è consigliabile in quanto, spesso, le autorità russe non riconoscono tali documenti ( motivi burocratici ).

Quanto ai tempi di ottenimento del certificato di divorzio dal momento della presentazione ed accettazione della domanda ( se con procura ) è di circa un mese.

Nuovo Regolamento EU per la Privacy

DAL 25 MAGGIO FINALMENTE IN VIGORE IL REGOLAMENTO EUROPEO IN MATERIA DI DATI PERSONALI  




Il 25 di Maggio 2016 è dunque entrato Ufficialmente in Vigore il Regolamento UE (2016/679) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 Aprile 2016 riguardante alla Privacy con riguardo al trattamento dei dati personali nonchè con riguardo alla "circolazione" dei dati personali nell'UE che abroga la precedente direttiva Comunitaria 95/46/CE.

Il testo, interamente riportato sulla Gazzetta Ufficiale dell' Unione Europea in data 04 Maggio 2016, diventerà applicabile in definitiva ed in via diretta in tutti i paesi UE alla data del 25 Maggio 2018.

Il testo nella sua interezza è possibile reperirlo al seguente indirizzo

mercoledì 18 maggio 2016

Illegittimità “ VINCOLO SPORTIVO “ per Minori dilettanti


Il diritto fondamentale dell’atleta di svolgere liberamente in Italia l’attività agonistica in forma non professionistica è tutt’ora gravemente compromesso dal “ vincolo sportivo” al quale egli si deve assoggettare tutt’ora per un tempo indeterminato o, comunque irragionevole, con la sottoscrizione del “cartellino” che ne certifica la soggezione alla società. Infatti, permane consolidato nell’Ordinamento dello sport italiano il principio generale secondo cui il tesseramento dei giovani e dei dilettanti si costituisce con legame associativo senza assennati limiti di tempo e senza la possibilità di essere sciolto se non con il consenso della società di appartenenza.
Laddove la firma del “cartellino” è un atto necessario per poter praticare una disciplina individuale o di squadra, le federazioni e le società gestiscono un obiettivo monopolio con imposizione agli atleti tesserati di condizioni, spesso vessatorie, stabilite dai regolamenti dalle stesse emanati.
Pertanto è noto che se l’atleta intende partecipare alle competizioni organizzate dalle federazioni sportive italiane, il giovane dilettante è costretto a stipulare il vincolo ed a devolvere irrevocabilmente la titolarità delle proprie prestazioni sportive alla società alla quale si affilia, con conseguente compressione involontaria ( nonostante il tesseramento appaia una manifestazione di assenso e di autonomia negoziale ) alla propria libertà agonistica.
Le norme organizzative delle federazioni hanno escluso e continuano ad escludere un termine ragionevole di scadenza del rapporto associativo, vietando esplicitamente la validità di recesso unilaterale dell’atleta, indipendentemente dall’approvazione societaria. Questa vessatoria imposizione regolamentare si pone in chiaro contrasto con i più elementari principi dell’Ordinamento giuridico in materia di libertà di associazione. Il vincolo sportivo, infatti,stipulato dagli atleti per un tempo indeterminato, oppure irragionevolmente lungo imposto dalle clausole regolamentari ed associative delle federazioni sportive, deve ritenersi nullo di diritto ( ex art.1418 codice civile ) in quanto contrasta con norme imperative di ordine pubblico e, dunque, realizza  interessi immeritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico ( ex art. 1322 codice civile, comma 2 ).
In particolare, il vincolo sportivo a tempo indeterminato, oppure irragionevole, cagiona una violazone:

della libertà di associazione che comprende anche il diritto di associazione tutelato dall’art. 18 della Costituzione, nonché dell’art. 11 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” ( legge 04 agosto 1955 n.848 ) e dell’art. 22 del “ Patto Internazionale dei diritti civili e politici “ (legge 25 ottobre 1977 n. 881 );
-  del diritto, che è espressione di un elementare principio dell’Ordinamento liberale e democratico, di recedere dall’associazione qualora l’associato non abbia assunto di farne parte per un tempo determinato, secondo quanto previsto dall’art.24 codice civile;
-   del diritto di parità di trattamento tutelato dal principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione, rispetto agli atleti professionisti, per i quali, l’art. 23 della legge marzo 1981 n. 91 ha disposto espressamente l’abolizione del vincolo sportivo, integrando letteralmente le limitazioni della libertà contrattuale dell’atleta professionista;
-  del dovere imperante, erga omnes, di assicurare “senza nessuna discriminazione” il godimento delle libertà fondate su qualsiasi condizione personale, come certamente deve ritenersi  quella dell’atleta minore e/o non professionista, stabilito dall’art.14 della “ Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondametali “;
-    del principio che deve caratterizzare i nuovi statuti e regolamenti delle federazioni sportive di far partecipare all’attività sportiva chiunque, in condizioni di parità ed in armonia con l’Ordinamento sportivo nazionale ( art. 16, co 1 Dlg 23 luglio 1999 n. 242 );
-    nei confronti dell’atleta minore di età, del diritto di gioco stabilito dall’art. 31 legge 27 maggio 1991 n. 176 secondo cui il minore ha il “ sacrosanto “ diritto di dedicarsi al gioco ed attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale, artistica e sportiva.
    Tali violazioni hanno indirizzato la giurisprudenza di legittimità a confermare quanto sopra argomentato ed infatti la stessa ha espresso, in varie pronunce, tali orientamenti.
-    L’adesione all’associazione comporta l’assoggettamento dell’aderente al relativo regolamento con il limite derivante dal principio costituzionale della libertà di associazione, il quale implica la nullità di clausole che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso ( Cass. Civ. sez. I, 09 maggio 1991, n. 4244 9;
-          la valutazione di validità della clausola che esclude l’esercizio del diritto di recesso da un’associazione per un tempo determinato è subordinata alla verifica, da una parte, della sussistenza di un termine compatibile con la natura e la funzione del contratto associativo e dall’altra la sussistenza di lesione di diritti costituzionalmente garantiti ( Cass. Civ. sez. I 04 giugno 1998, n. 54769 ).
Alla luce, quindi, delle soprariportate violazioni normative, riconosciute sia in dottrina, ma supportate anche in giurisprudenza, si può chiaramente affermare che le federazioni e le società sportive non soltanto mantengono e si attengono a regolamenti da considerarsi assolutamente “arcaici” sia sotto il profilo fattuale sia sotto il profilo dell’equità sostanziale, ma continuano ad applicare proprie disposizioni  che contravvengono a  norme gerarchicamente superiori ai regolamenti federali vigenti.
 La dottrina giuridica, d’altronde, non può che rimarcare il principio di temporaneità ridotta del vincolo ( tanto più se trattasi di minori ) e, quindi, non può negare la possibilità di recesso qualora si sia aderito ad associazione sportiva; la giurisprudenza, a sua volta, non può che censurare qualora si presentino modalità di richiesta di scioglimento del vincolo, così come illegittimamente  prescritto dai regolamenti federali.
Connesso a tali inequivocabili principi è da specificare e chiarire altro tema meritevole di considerazione dottrinale e giurisprudenziale che, ad oggi, non ha ancora ottenuto giusta applicabilità; la cosiddetta “ Patrimonializzazione dell’atleta”che si attaglia perfettamente con il presente tema.
 Da un’errata interpretazione dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo,  giustificato dal “vincolo sportivo” dell’atleta non professionista ( ed addirittura minorenne ), la società che ne detiene il “cartellino” considera questo, per la sua prestazione sportiva, appartenente a se stessa come proprio patrimonio, alla stregua di “ res in commercio “. Questa illecita attività comporta, nei confronti degli atleti minorenni e non professionisti, una persistente e diffusa opera di speculazione economica. Quindi, persistendo nell’ordinamento sportivo, il deplorevole istituto del vincolo, è notorio che, persino, gli atleti minorenni sono considerati oggetti suscettibili di compravendita, prestito ed altro accordo che inerisca allo sfruttamento lucrativo delle loro prestazioni sportive da parte delle società che ne detengono il “ cartellino”. La presente condizione a cui sono sottoposti gli atleti, dichiarati dilettanti dal CONI e dalle federazioni, ma considerati  una proprietà della società sportiva che li ha tesserati, é di fatto assimilabile ad una “schiavitù” che si realizza all’interno dello sport ed in condizione di monopolio delle stesse federazioni sportive affiliate al CONI. Tali illegittime clausole statuarie e regolamentari, infatti, pongono illecitamente ostacoli normativi ed economici al giocatore/trice giovane che intende scegliere la società in cui militare e quindi recedere dal precedente contratto associativo alla fine della stagione agonistica.
Al vertice dell’Ordinamento sportivo Internazionale e Nazionale, d’altronde, è già stata stabilità l’illegittimità del vincolo che impedisce all’atleta o che gli renda ostico il diritto di partecipare a qualsivoglia attività agonistica. Non si dimentichi che l’ottavo Principio Fondamentale  della Carta Olimpica stabilisce che la pratica dello sport è un diritto umano e che ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport secondo le sue necessità. Le federazioni sportive, pur rispettando tali disposizioni ed avendo limitato lo svincolo al raggiungimento di una certa età e/o durata, pongono di fatto una evidente discriminazione vietata dalla legge, soprattutto nei confronti degli atleti minori e dei loro genitori e/o tutori.


Si può pacificamente affermare, quindi, che una eventuale impugnazione del provvedimento applicativo del “ vincolo sportivo” da parte dell’atleta non professionista ( minore e non ) , non può che ricevere giusto riconoscimento giudiziario, con la conseguenza che tale vincolo sarà ritenuto nullo e l’atleta libero di svolgere attività sportiva con altra società. 

giovedì 5 maggio 2016

La Riforma della Privacy UE è legge

04 Maggio 2016 : NUOVO REGOLAMENTO EUROPEO PER LA PRIVACY


Il 04 Maggio 2016 è stato finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il testo del Regolamento ( UE )  2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 Aprile 2016 sulla Privacy relativo alla protezione delle Persone fisiche con Riguardo al trattamento dei dati personali nonchè alla libera circolazione dei dati personali nell'Unione.
Tale disposto normativo abrogherà l'ormai nota Direttiva 95/46/CE

Come noto il Regolamento entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ( 24 Maggio ) e sarà pertanto applicato a decorrere dal 25 Maggio 2018.




Google e Android - Le accuse dell'Antitrust EU

Nuovamente a determinazione dei precedenti Articoli aventi come "Core" le accuse mosse dall' Antitrust in Russia ( per abuso posizione dominante) e dall'Antitrust in EU nei confronti Google Shopping ( per le medesime accuse ) rilevante è la seconda accusa mossa dalla Commissione Europea nei Confronti del colosso Californiano relativamente ad Android



Secondo quanto riportato già da Bloomberg nel 2015, la FTC (Federal Trade Commission), autorità antitrust Usa, già apriva un'inchiesta su Android, il sistema operativo mobile di Google.
Motivo dell'indagine era che Google avrebbe ristretto l'uso delle applicazioni realizzate da altre aziende, quindi diretti competitors, per avvantaggiare le proprie. 
Questa non era la prima volta che Google subiva un'indagine di questo tipo e l'UE, terminata l'indagine iniziata nell'ormai 2010 ad Aprile 2016 lancia finalmente i suoi capi d'accusa ( anche a seguito delle segnalazioni di diverse aziende, inclusa Microsoft ). Il famoso Robottino Verde, infatti, grazie alla distribuzione gratuita sotto forma di open-sorce, è entrato nel mercato ed ha saputo conquistare i produttori.
"L'indagine approfondita della Commissione esaminerà se Google abbia infatti violato le norme antitrust Europee impendendo lo sviluppo o la diffusione nel mercato di sistemi operativi od applicazioni da parte di concorrenti a danno dei consumatori e delle società di sviluppo"


In Questo caso, epicentro saranno le Clausole firmate con i produttori di device al momento dell'accettazione di Android all'interno dei propri prodotti.
Il Gigante G ha da sempre offerto Gratuitamente il sistema operativo ma, in cambio, chiederebbe che sul terminale siano anche istallati alcuni servizi ( in esclusiva ) del circuito Californiano, impendendo, quindi, ad aziende rivali, e meno "importanti" di poter trovare spazio laddove il sistema operativo garantisce l'incontro con grandi masse di consumatori.
La Gratuità di Android, dunque, sembrerebbe la LEVA CHE GOOGLE ha applicato negli anni per Acquisire il Monopolio del sistema informatico mobile globale.
Il Sistema infatti creerebbe la base e le applicazioni monetizzerebbero con il sistema reso gratuitamente.
La strategia sino ad ora si è rilevata efficacie ed Android è entrato pian piano nelle case di miliardi di consumatori, ma l'Antitrust EU ne mette ora in discussione gli assunti di base contestando, dunque, a Google, la pratica come ANTI-CONCORRENZIALE

In riferimento Google già presenta le prime risposte anticipando che:

"Difficile da credere, ma solo dieci anni fa gli smartphone erano quasi inesistenti. Le persone usavano telefoni con funzionalità basilari, che erano un vero incubo per gli sviluppatori. All’epoca l’unico modo per sviluppare applicazioni era farlo per ciascun dispositivo e ciascuna piattaforma; in Google avevamo un armadio con centinaia di telefoni che venivano testati uno a uno, ogni volta che volevamo lanciare un nuovo software. Android è nato da questa frustrazione. Realizzando un sistema operativo eccellente, gratuito e open source, speravamo di poter alimentare in modo decisivo l’innovazione in questo settore e lasciare ai produttori e agli sviluppatori la possibilità di concentrarsi su ciò che fanno meglio. Al tempo furono in molti a pensare che questo piano fosse una follia"
E considerata l'accusa anche in relazione alle clausole firmate con i vari device appare importante la valutazione della risposta che Google già posta nei suoi blog nel merito

"A differenza di Apple, la società di telefonia (mobile) che realizza i maggiori profitti al mondo, ci sono molte meno applicazioni Google preinstallate su telefoni Android di quante siano quelle Apple presenti sui dispositivi iOS"
Appare evidente, in realtà, ed a modesto avviso dello scrivente, ipotizzare di accusare il Gigante G di aver sfruttato la propria posizione dominante ( che indubbiamente esiste nel mercato globale) quando i mercati vicini ( vedesi iOS ) non vedono Google come una minaccia perchè non ancora in grado di aggiudicarsi adeguate fette di mercato?

Nuovamente; Come accusarlo quando le azioni di Google ( Vedesi anche il caso di Google TRAVEL ) hanno diversificato offerta e possibilità di scelta?

L'idea di Google è quindi semplice e diretta e la difesa verterà espressamente a questo.

Ad ogni modo le accuse e le difese sono ancora in fase di stallo e dettagli più computi non potranno che giungere a determinazione esclusivamente a seguito dell'incontro diretto tra le parti chiamate in causa

Avv. Fabio Maggesi

Google Shopping e l'Antitrust Europea

L' ACCUSA DELL'ANTITRUST EU CONTRO GOOGLE SHOPPING




Come già aggiornato nell' Articolo precedente vi è da rilevare cosa la Commissione Europea affermava nell'accusa mossa nei confronti del Gigante G.
L’accusa contro Google Shopping, infatti, è quella da cui ha avuto origine l’indagine nel 2010 già intrapresa da Joaquín Almunia.
Nel tempo sono state coinvolte a più riprese varie società aziende e leader nel settore, che agiscono in competizione con Google, ascoltando obiezioni, pareri, informative e facendo tesoro delle controdeduzioni del noto motore di ricerca. 
Ad Aprile 2016, quindi, ormai a distanza di circa 6 anni dall'origine dell'indagine, la Commissione Europea si è sentita di formulare la propria accusa contestando a questo punto il modo in cui "Google Shopping viene integrato all’interno del motore di ricerca “imponendo” tale scelta ai danni di altri servizi di comparazione".
Secondo l'antitrust comunitaria, "Google avrebbe sistematicamente favorito Google Shoppingrispetto alle offerte concorrenti, il tutto con un diretto vantaggio nei confronti di un proprio stesso prodotto.
Va precisato, infatti, come la posizione dominante in un mercato non sia mai contestabile in sé, mentre ad essere potenzialmente contestati sono gli abusi finalizzati ad estendere il proprio dominio da un settore ad un altro secondo una logica di vasi comunicanti che le regole per la libera concorrenza non possono tollerare. Secondo la Commissione Europea, il Gigante G
«può artificialmente deviare il traffico da servizi di acquisto comparativo concorrenti e impedire loro di competere sul mercato. La Commissione teme che gli utenti non riescano sempre a vedere i risultati più rilevanti delle loro ricerche: questo danneggia i consumatori e limita l’innovazione. A titolo preliminare, la Commissione ritiene che Google debba accordare lo stesso trattamento ai propri servizi di acquisto comparativo e a quelli dei concorrenti». 
Quanto in accusa verterebbe sul fatto che Google Shopping possa occupare una posizione preminente tra i risultati del motore a prescindere dal merito: semplicemente il comparatore proprietario è stato posizionato laddove l’utente lo considera una soluzione di favore e così facendo ne ha in qualche modo imposto l’utilizzo ai danni di altre soluzioni del comparto.
Secondo l'accusa, infatti, Google Shopping sarebbe stato sistematicamente favorito e la pratica che porta Google a formulare risultati considerati preminenti (pur nell’interesse dell’utente) non sarebbe sufficiente per motivare una scelta esclusiva ai danni della concorrenza.
Siccome le precedenti proposte di accordo formulate da Google non sono state giudicate utili allo scopo (soprattutto in virtù delle contestazioni portate avanti dai concorrenti tirati in ballo con audizioni private),  a metà Aprile l’accusa è stata formulata a titolo ufficiale lasciando però all’azienda di Mountain View 10 settimane per formulare le proprie controdeduzioni, da presentare quindi alla Commissione in sede di audizione formale.
Sin da subito, in ogni caso, l'azienda californiana, risponde in via ufficiosa mediante i propri sistemi di comunicazione e tramite il proprio blog, a firma di AMIT SINGHAL, vice presidente di Google Search, dando immediatamente la propria realistica percezione della realtà in merito alle accuse a questa mosse. 
Amit da subito riaffrontando il case history dei risultati sui voli aerei ( problematica già affrontata e superata nel 2010, momento storico in cui il Gigante B era accusato di aver minato traffico ai siti degli operatori di linea ) precisa formalmente che:
"Mentre Google può certamente essere il motore di ricerca più usato, le persone possono trovare e accedere a informazioni in molti modi diversi. In realtà, le persone hanno più scelta che mai"Esistono numerosi altri motori di ricerca come Bing, Yahoo, Quora, DuckDuckGo e una nuova ondata di assistenti come Siri di Apple e Cortana di Microsoft.In aggiunta, ci sono un sacco di servizi specializzati come Amazon, Idealo, Le Guide, Expedia o eBay. A volte sono i servizi di shopping più popolari.Le persone utilizzano sempre di più i social come Facebook, Pinterest e Twitter per trovare raccomandazioni, come ad esempio dove mangiare, quali film da guardare o come decorare le loro case.Quando si tratta di notizie, gli utenti spesso vanno direttamente ai loro siti preferiti. Ad esempio, Bild e il Guardian arrivano fino all’85% del loro traffico direttamente, e meno del 10% proviene da Google"
Parimenti l'azienda prosegue con una comunicazione interna destinata ai dipendenti


"Non si tratta di una decisione finale: è un documento in cui il personale della Commissione mette insieme le sue accuse in modo che l’azienda coinvolta abbia la possibilità di rispondere. Aspettatevi critiche dure, ma ricordate: si tratta anche di un’opportunità per Google per raccontare la sua versione della storia. Il processo di esame può richiedere diverso tempo (anche un paio di anni) e in alcuni casi ha portato la Commissione a modificare le sue accuse o a risolvere il contenzioso. Se le due parti non riescono a trovare un accordo, la Commissione ufficializza la violazione, che può poi essere appellata presso la Corte europea"
E nuovamente:


"Sappiamo che questi annunci della Commissione saranno una distrazione. Ma ci potete dare una mano in due modi: primo, non rilasciando commenti in giro su questioni legali sospese come questa; secondo, concentrandovi sul vostro lavoro per farlo al meglio, per costruire ottimi prodotti che servano al meglio i nostri utenti."
Il lavoro che il Gigante G dovrà compiere non sarà quindi di poco conto, ma, in ogni caso, procedimenti come questi riscriveranno i rapporti tra Europa ed Oltre Oceano e ci sarà dato seguirli per ottimizzare l'evoluzione normativa e la "giurisprudenza Europea" che, per casi come questi, non potrà che rilasciare un importante feedback per i successivi problemi che potranno generarsi in futuro nel merito

Avv. Fabio Maggesi

Google : Abuso di posizione dominante in EU e RU

Continuamente sotto attacco il Gigante americano ormai dalle continue operazioni a tutela della libera concorrenza sul mercato.
Dopo l'Articolo trattato in questo Blog datato 31 Marzo nuovamente da rilevare la continua difesa che il Gigante G è costretto a porre in essere a Sua difesa per le continue sanzioni comminate dall'Antitrust in Europa ed in Russia.





Già infatti in data 25 Gennaio del 2016 Google doveva difendersi dall'attacco in Russia, per la violazione di "abuso di posizione dominante", da parte dell'Anti Trust Russa


Lo riportava la Tass, che sentiva il capo del servizio federale antitrust.

Il capo del servizio, Artemyev, diceva inoltre che Google «può contestare la decisione almeno per un anno», perciò il processo e il successivo «pagamento della multa» potrebbe slittare fino al 2017. 

In questo caso la multa sarebbe stata «aggiornata per l’inflazione 2014-2017». 


Il 14 settembre 2015, per la precisione, l’antitrust di Mosca aveva riconosciuto colpevoli Google Inc. e Google Ireland Ltd. di aver violato la legge "sull' Abuso di Posizione dominante" dopo la querela di Yandex. 
Il 5 ottobre 2015 veniva emessa la prescrizione per la rettifica di questa violazione.
La compagnia correva comunque  il rischio di una sanzione che sarebbe potuta andare dall’1% al 15% del fatturato del mercato dei negozi delle app preinstallate per il 2014. Tale somma includeva gli introiti di Google della vendita di tutte le app su Google Play, nonché l’acquisto della musica e video nel 2014 nel territorio russo.

Secondo la valutazione del direttore generale della TelecomDaily, Denis Kuskov, il fatturato annuale di Google Play in Russia superava i 70 milioni di dollari: la multa quindi ammonterebbe a circa 5 milioni di dollari. 

In dicembre Google impugnava la decisione dell’antitrust nella corte d’arbitrato di Mosca avendo per il 25 gennaio 2016 prima data per l' udienza in tribunale. 

Nonostante le battaglie Legali Google perdeva dunque il ricorso in appello contro la decisione dell’Antitrust russo che accusava l’azienda statunitense per l'appunto di abuso di posizione dominante. 
L’autorità russa di regolamentazione antimonopolistica, lo ricordiamo, ha stabilito che Google ha violato locali leggi antitrust per i servizi preinstallati di serie nei dispositivi. 

Le indagini sulle pratiche dell’azienda californiana sono partite a febbraio del 2015 e si sono concentrate sul metodo sfruttato da Google per la distribuzione delle sue app nel sistema operativo Android. Si contestava, quindi, l’obbligo per i produttori di cellulari di pre-installare i servizi di Google sui loro device.
Le indagini contro Google sono partite dopo le lamentele di Yandex, il gruppo internet più grande della nazione, che ha accusato il concorrente di pratiche scorrette.
La società di Moutain View potrebbe essere costretta a cambiare gli accordi con i produttori di smartphone e tablet Android, consentendo la preinstallazione di app di serie diverse da quelle di Google. 

Il valore delle azioni di Yandex, infatti, all’indomani della sentenza è cresciuto del 13%

Il rivale russo di Google lamenta di avere perso market share dopo la diffusione degli smartphone Android. Stando ai dati di LiveInternet.ru, lo share di Yandex nelle ricerche online in Russia era ad agosto 2015 il 50% inferiore di gennaio 2014, mentre lo share di Google è salito dal 34% al 42%.

giovedì 31 marzo 2016

GOOGLE multato in Francia su Diritto all'oblio

FRANCIA: MULTATO GOOGLE PER VIOLAZIONE SUL DIRITTO ALL'OBLIO 


La Commissione Nazionale Francese per l’Informatica (Cnil) ha multato Google, il famoso Colosso della Mountain View, con 100mila euro per la sua applicazione delle norme sul diritto all’oblio, ritenuta troppo restrittiva nonostante quanto imposto dalla Sentenza della "Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 13 maggio 2014"
Al centro della contestazione posta in essere dall’organo francese, la prassi usata dal colosso U.s.a., secondo la quale è ancora applicata la deindicizzazione in relazione alle sole estensioni europee di interesse ( .it, .es., .pl ., .fr., etc... ) e non sul totale dei risultati, quindi anche e soprattutto su Google.com ovvero sulle versioni extra europee. 
A  renderlo noto lo stesso organismo francese ( CNIL )
Nonostante Google ( comunque ) abbia provveduto a mettere a disposizione un modulo online per la richiesta di cancellazione dei link, lo scorso maggio l’Authority francese ha rilevato che l’attività di deindicizzazione dei risultati è stata applicata solo ai domini di Google relativi ai paesi europei. 
Se dunque un risultato veniva eliminato dalle ricerche su Google.fr (Francia) questo non avveniva anche nel motore di ricerca internazionale Google.com.
Nel maggio 2015 quindi il Cnil  aveva chiesto all’azienda Statunitense di procedere a deindicizzare i contenuti non in virtù dell’origine geografica delle ricerche ma in assoluto, in tutte le estensioni di Google Search, al fine di non rendere il diritto all’oblio parziale nella sua applicazione.
Il Colosso Statunitense ha "premeditatamente evitato" di rispondere all’invito ed a Gennaio u.s. l’organismo francese ha deciso quindi di avviare un procedimento di sanzione nei confronti della società Americana. 
Il Cnil ha anche rigettato delle proposte della società USA, formulate poco prima dell’avvio del procedimento per risolvere il problema, ritenendo le soluzioni di filtraggio, sempre basate sul principio geografico della ricerca, facilmente aggirabili.
Il procedimento ha quindi stabilito, a marzo u.s., che le diverse estensioni geografiche offerte da Google non possono essere considerate servizi separati ma rientrano appunto nella tipologia di un servizio unico, quello del Searching. 
Quindi, il diritto all’oblio va applicato nella totalità del servizio reso, affinché abbia un senso efficace e sia conforme alla decisione della Corte di Giustizia europea in materia di Diritto all'oblio.
Infine, secondo l’organo francese non c’è, nell’applicare la norma universalmente, un limite al diritto della libertà di espressione.
La replica del gruppo di Mountain View non si è fatta attendere: 
la società californiana ha infatti intenzione di ricorrere in appello contro la decisione, come comunicato attraverso le pagine del Wall Street Journal.
"Siamo in disaccordo con l’asserzione dell’ente che afferma di avere l’autorità per controllare a quali contenuti le persone possono accedere dal di fuori della Francia"
"We believe that no one country should have the authority to control what content someone in a second country can access,” Peter Fleischer, Google’s global privacy counsel, wrote in a statement provided by a spokesman Thursday. “We respectfully disagree with the CNIL’s assertion of global authority on this issue."