Il diritto fondamentale dell’atleta di svolgere liberamente
in Italia l’attività agonistica in forma non professionistica è tutt’ora
gravemente compromesso dal “ vincolo sportivo” al quale egli si deve
assoggettare tutt’ora per un tempo indeterminato o, comunque irragionevole, con
la sottoscrizione del “cartellino” che ne certifica la soggezione alla società.
Infatti, permane consolidato nell’Ordinamento dello sport italiano il principio
generale secondo cui il tesseramento dei giovani e dei dilettanti si
costituisce con legame associativo senza assennati limiti di tempo e senza la
possibilità di essere sciolto se non con il consenso della società di
appartenenza.
Laddove la firma del “cartellino” è un atto necessario per
poter praticare una disciplina individuale o di squadra, le federazioni e le
società gestiscono un obiettivo monopolio con imposizione agli atleti tesserati
di condizioni, spesso vessatorie, stabilite dai regolamenti dalle stesse emanati.
Pertanto è noto che se l’atleta intende partecipare alle
competizioni organizzate dalle federazioni sportive italiane, il giovane
dilettante è costretto a stipulare il vincolo ed a devolvere irrevocabilmente
la titolarità delle proprie prestazioni sportive alla società alla quale si
affilia, con conseguente compressione involontaria ( nonostante il tesseramento
appaia una manifestazione di assenso e di autonomia negoziale ) alla propria
libertà agonistica.
Le norme organizzative delle federazioni hanno escluso e
continuano ad escludere un termine ragionevole di scadenza del rapporto
associativo, vietando esplicitamente la validità di recesso unilaterale
dell’atleta, indipendentemente dall’approvazione societaria. Questa vessatoria
imposizione regolamentare si pone in chiaro contrasto con i più elementari
principi dell’Ordinamento giuridico in materia di libertà di associazione. Il
vincolo sportivo, infatti,stipulato dagli atleti per un tempo indeterminato,
oppure irragionevolmente lungo imposto dalle clausole regolamentari ed
associative delle federazioni sportive, deve ritenersi nullo di diritto ( ex art.1418 codice civile ) in quanto
contrasta con norme imperative di ordine pubblico e, dunque, realizza interessi immeritevoli di tutela da parte
dell’ordinamento giuridico ( ex art. 1322 codice civile, comma 2 ).
In particolare, il vincolo sportivo a tempo
indeterminato, oppure irragionevole, cagiona una violazone:
della libertà di associazione che comprende
anche il diritto di associazione tutelato dall’art. 18 della Costituzione,
nonché dell’art. 11 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali” ( legge 04 agosto 1955 n.848 ) e
dell’art. 22 del “ Patto Internazionale dei diritti civili e politici “ (legge
25 ottobre 1977 n. 881 );
- del diritto, che è espressione di un elementare
principio dell’Ordinamento liberale e democratico, di recedere dall’associazione
qualora l’associato non abbia assunto di farne parte per un tempo determinato,
secondo quanto previsto dall’art.24 codice civile;
- del diritto di parità di trattamento tutelato
dal principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione,
rispetto agli atleti professionisti, per i quali, l’art. 23 della legge marzo
1981 n. 91 ha disposto espressamente l’abolizione del vincolo sportivo,
integrando letteralmente le limitazioni della libertà contrattuale dell’atleta
professionista;
- del dovere imperante, erga omnes, di assicurare
“senza nessuna discriminazione” il godimento delle libertà fondate su qualsiasi
condizione personale, come certamente deve ritenersi quella dell’atleta minore e/o non professionista,
stabilito dall’art.14 della “ Convenzione Europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondametali “;
- del principio che deve caratterizzare i nuovi
statuti e regolamenti delle federazioni sportive di far partecipare
all’attività sportiva chiunque, in condizioni di parità ed in armonia con
l’Ordinamento sportivo nazionale ( art. 16, co 1 Dlg 23 luglio 1999 n. 242 );
- nei confronti dell’atleta minore di età, del
diritto di gioco stabilito dall’art. 31 legge 27 maggio 1991 n. 176 secondo cui
il minore ha il “ sacrosanto “ diritto di dedicarsi al gioco ed attività
ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita
culturale, artistica e sportiva.
Tali violazioni hanno indirizzato
la giurisprudenza di legittimità a confermare quanto sopra argomentato ed
infatti la stessa ha espresso, in varie pronunce, tali orientamenti.
- L’adesione all’associazione comporta
l’assoggettamento dell’aderente al relativo regolamento con il limite derivante
dal principio costituzionale della libertà di associazione, il quale implica la
nullità di clausole che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso
( Cass. Civ. sez. I, 09 maggio 1991, n. 4244 9;
-
la valutazione di validità della clausola che
esclude l’esercizio del diritto di recesso da un’associazione per un tempo
determinato è subordinata alla verifica, da una parte, della sussistenza di un
termine compatibile con la natura e la funzione del contratto associativo e
dall’altra la sussistenza di lesione di diritti costituzionalmente garantiti (
Cass. Civ. sez. I 04 giugno 1998, n. 54769 ).
Alla luce, quindi, delle soprariportate
violazioni normative, riconosciute sia in dottrina, ma supportate anche in
giurisprudenza, si può chiaramente affermare che le federazioni e le società
sportive non soltanto mantengono e si attengono a regolamenti da considerarsi
assolutamente “arcaici” sia sotto il profilo fattuale sia sotto il profilo
dell’equità sostanziale, ma continuano ad applicare proprie disposizioni che contravvengono a norme gerarchicamente superiori ai
regolamenti federali vigenti.
La dottrina giuridica, d’altronde, non può che
rimarcare il principio di temporaneità ridotta del vincolo ( tanto più se
trattasi di minori ) e, quindi, non può negare la possibilità di recesso
qualora si sia aderito ad associazione sportiva; la giurisprudenza, a sua
volta, non può che censurare qualora si presentino modalità di richiesta di
scioglimento del vincolo, così come illegittimamente prescritto dai regolamenti federali.
Connesso a tali inequivocabili principi è da specificare e
chiarire altro tema meritevole di considerazione dottrinale e giurisprudenziale
che, ad oggi, non ha ancora ottenuto giusta applicabilità; la cosiddetta “
Patrimonializzazione dell’atleta”che si attaglia perfettamente con il presente
tema.
Da un’errata
interpretazione dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo, giustificato dal “vincolo sportivo”
dell’atleta non professionista ( ed addirittura minorenne ), la società che ne
detiene il “cartellino” considera questo, per la sua prestazione sportiva,
appartenente a se stessa come proprio patrimonio, alla stregua di “ res in
commercio “. Questa illecita attività comporta, nei confronti degli atleti
minorenni e non professionisti, una persistente e diffusa opera di speculazione
economica. Quindi, persistendo nell’ordinamento sportivo, il deplorevole
istituto del vincolo, è notorio che, persino, gli atleti minorenni sono
considerati oggetti suscettibili di compravendita, prestito ed altro accordo
che inerisca allo sfruttamento lucrativo delle loro prestazioni sportive da
parte delle società che ne detengono il “ cartellino”. La presente condizione a
cui sono sottoposti gli atleti, dichiarati dilettanti dal CONI e dalle
federazioni, ma considerati una
proprietà della società sportiva che li ha tesserati, é di fatto assimilabile
ad una “schiavitù” che si realizza all’interno dello sport ed in condizione di
monopolio delle stesse federazioni sportive affiliate al CONI. Tali illegittime
clausole statuarie e regolamentari, infatti, pongono illecitamente ostacoli
normativi ed economici al giocatore/trice giovane che intende scegliere la
società in cui militare e quindi recedere dal precedente contratto associativo
alla fine della stagione agonistica.
Al vertice dell’Ordinamento sportivo Internazionale e Nazionale,
d’altronde, è già stata stabilità l’illegittimità del vincolo che impedisce
all’atleta o che gli renda ostico il diritto di partecipare a qualsivoglia
attività agonistica. Non si dimentichi che l’ottavo Principio Fondamentale della Carta Olimpica stabilisce che la
pratica dello sport è un diritto umano e che ogni individuo deve avere la
possibilità di praticare lo sport secondo le sue necessità. Le federazioni
sportive, pur rispettando tali disposizioni ed avendo limitato lo svincolo al
raggiungimento di una certa età e/o durata, pongono di fatto una evidente
discriminazione vietata dalla legge, soprattutto nei confronti degli atleti
minori e dei loro genitori e/o tutori.
Si può pacificamente affermare, quindi, che una eventuale
impugnazione del provvedimento applicativo del “ vincolo sportivo” da parte
dell’atleta non professionista ( minore e non ) , non può che ricevere giusto riconoscimento
giudiziario, con la conseguenza che tale vincolo sarà ritenuto nullo e l’atleta
libero di svolgere attività sportiva con altra società.
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