mercoledì 18 maggio 2016

Illegittimità “ VINCOLO SPORTIVO “ per Minori dilettanti


Il diritto fondamentale dell’atleta di svolgere liberamente in Italia l’attività agonistica in forma non professionistica è tutt’ora gravemente compromesso dal “ vincolo sportivo” al quale egli si deve assoggettare tutt’ora per un tempo indeterminato o, comunque irragionevole, con la sottoscrizione del “cartellino” che ne certifica la soggezione alla società. Infatti, permane consolidato nell’Ordinamento dello sport italiano il principio generale secondo cui il tesseramento dei giovani e dei dilettanti si costituisce con legame associativo senza assennati limiti di tempo e senza la possibilità di essere sciolto se non con il consenso della società di appartenenza.
Laddove la firma del “cartellino” è un atto necessario per poter praticare una disciplina individuale o di squadra, le federazioni e le società gestiscono un obiettivo monopolio con imposizione agli atleti tesserati di condizioni, spesso vessatorie, stabilite dai regolamenti dalle stesse emanati.
Pertanto è noto che se l’atleta intende partecipare alle competizioni organizzate dalle federazioni sportive italiane, il giovane dilettante è costretto a stipulare il vincolo ed a devolvere irrevocabilmente la titolarità delle proprie prestazioni sportive alla società alla quale si affilia, con conseguente compressione involontaria ( nonostante il tesseramento appaia una manifestazione di assenso e di autonomia negoziale ) alla propria libertà agonistica.
Le norme organizzative delle federazioni hanno escluso e continuano ad escludere un termine ragionevole di scadenza del rapporto associativo, vietando esplicitamente la validità di recesso unilaterale dell’atleta, indipendentemente dall’approvazione societaria. Questa vessatoria imposizione regolamentare si pone in chiaro contrasto con i più elementari principi dell’Ordinamento giuridico in materia di libertà di associazione. Il vincolo sportivo, infatti,stipulato dagli atleti per un tempo indeterminato, oppure irragionevolmente lungo imposto dalle clausole regolamentari ed associative delle federazioni sportive, deve ritenersi nullo di diritto ( ex art.1418 codice civile ) in quanto contrasta con norme imperative di ordine pubblico e, dunque, realizza  interessi immeritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico ( ex art. 1322 codice civile, comma 2 ).
In particolare, il vincolo sportivo a tempo indeterminato, oppure irragionevole, cagiona una violazone:

della libertà di associazione che comprende anche il diritto di associazione tutelato dall’art. 18 della Costituzione, nonché dell’art. 11 della “Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” ( legge 04 agosto 1955 n.848 ) e dell’art. 22 del “ Patto Internazionale dei diritti civili e politici “ (legge 25 ottobre 1977 n. 881 );
-  del diritto, che è espressione di un elementare principio dell’Ordinamento liberale e democratico, di recedere dall’associazione qualora l’associato non abbia assunto di farne parte per un tempo determinato, secondo quanto previsto dall’art.24 codice civile;
-   del diritto di parità di trattamento tutelato dal principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione, rispetto agli atleti professionisti, per i quali, l’art. 23 della legge marzo 1981 n. 91 ha disposto espressamente l’abolizione del vincolo sportivo, integrando letteralmente le limitazioni della libertà contrattuale dell’atleta professionista;
-  del dovere imperante, erga omnes, di assicurare “senza nessuna discriminazione” il godimento delle libertà fondate su qualsiasi condizione personale, come certamente deve ritenersi  quella dell’atleta minore e/o non professionista, stabilito dall’art.14 della “ Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondametali “;
-    del principio che deve caratterizzare i nuovi statuti e regolamenti delle federazioni sportive di far partecipare all’attività sportiva chiunque, in condizioni di parità ed in armonia con l’Ordinamento sportivo nazionale ( art. 16, co 1 Dlg 23 luglio 1999 n. 242 );
-    nei confronti dell’atleta minore di età, del diritto di gioco stabilito dall’art. 31 legge 27 maggio 1991 n. 176 secondo cui il minore ha il “ sacrosanto “ diritto di dedicarsi al gioco ed attività ricreative proprie della sua età e di partecipare liberamente alla vita culturale, artistica e sportiva.
    Tali violazioni hanno indirizzato la giurisprudenza di legittimità a confermare quanto sopra argomentato ed infatti la stessa ha espresso, in varie pronunce, tali orientamenti.
-    L’adesione all’associazione comporta l’assoggettamento dell’aderente al relativo regolamento con il limite derivante dal principio costituzionale della libertà di associazione, il quale implica la nullità di clausole che escludano o rendano oneroso in modo abnorme il recesso ( Cass. Civ. sez. I, 09 maggio 1991, n. 4244 9;
-          la valutazione di validità della clausola che esclude l’esercizio del diritto di recesso da un’associazione per un tempo determinato è subordinata alla verifica, da una parte, della sussistenza di un termine compatibile con la natura e la funzione del contratto associativo e dall’altra la sussistenza di lesione di diritti costituzionalmente garantiti ( Cass. Civ. sez. I 04 giugno 1998, n. 54769 ).
Alla luce, quindi, delle soprariportate violazioni normative, riconosciute sia in dottrina, ma supportate anche in giurisprudenza, si può chiaramente affermare che le federazioni e le società sportive non soltanto mantengono e si attengono a regolamenti da considerarsi assolutamente “arcaici” sia sotto il profilo fattuale sia sotto il profilo dell’equità sostanziale, ma continuano ad applicare proprie disposizioni  che contravvengono a  norme gerarchicamente superiori ai regolamenti federali vigenti.
 La dottrina giuridica, d’altronde, non può che rimarcare il principio di temporaneità ridotta del vincolo ( tanto più se trattasi di minori ) e, quindi, non può negare la possibilità di recesso qualora si sia aderito ad associazione sportiva; la giurisprudenza, a sua volta, non può che censurare qualora si presentino modalità di richiesta di scioglimento del vincolo, così come illegittimamente  prescritto dai regolamenti federali.
Connesso a tali inequivocabili principi è da specificare e chiarire altro tema meritevole di considerazione dottrinale e giurisprudenziale che, ad oggi, non ha ancora ottenuto giusta applicabilità; la cosiddetta “ Patrimonializzazione dell’atleta”che si attaglia perfettamente con il presente tema.
 Da un’errata interpretazione dell’autonomia dell’Ordinamento sportivo,  giustificato dal “vincolo sportivo” dell’atleta non professionista ( ed addirittura minorenne ), la società che ne detiene il “cartellino” considera questo, per la sua prestazione sportiva, appartenente a se stessa come proprio patrimonio, alla stregua di “ res in commercio “. Questa illecita attività comporta, nei confronti degli atleti minorenni e non professionisti, una persistente e diffusa opera di speculazione economica. Quindi, persistendo nell’ordinamento sportivo, il deplorevole istituto del vincolo, è notorio che, persino, gli atleti minorenni sono considerati oggetti suscettibili di compravendita, prestito ed altro accordo che inerisca allo sfruttamento lucrativo delle loro prestazioni sportive da parte delle società che ne detengono il “ cartellino”. La presente condizione a cui sono sottoposti gli atleti, dichiarati dilettanti dal CONI e dalle federazioni, ma considerati  una proprietà della società sportiva che li ha tesserati, é di fatto assimilabile ad una “schiavitù” che si realizza all’interno dello sport ed in condizione di monopolio delle stesse federazioni sportive affiliate al CONI. Tali illegittime clausole statuarie e regolamentari, infatti, pongono illecitamente ostacoli normativi ed economici al giocatore/trice giovane che intende scegliere la società in cui militare e quindi recedere dal precedente contratto associativo alla fine della stagione agonistica.
Al vertice dell’Ordinamento sportivo Internazionale e Nazionale, d’altronde, è già stata stabilità l’illegittimità del vincolo che impedisce all’atleta o che gli renda ostico il diritto di partecipare a qualsivoglia attività agonistica. Non si dimentichi che l’ottavo Principio Fondamentale  della Carta Olimpica stabilisce che la pratica dello sport è un diritto umano e che ogni individuo deve avere la possibilità di praticare lo sport secondo le sue necessità. Le federazioni sportive, pur rispettando tali disposizioni ed avendo limitato lo svincolo al raggiungimento di una certa età e/o durata, pongono di fatto una evidente discriminazione vietata dalla legge, soprattutto nei confronti degli atleti minori e dei loro genitori e/o tutori.


Si può pacificamente affermare, quindi, che una eventuale impugnazione del provvedimento applicativo del “ vincolo sportivo” da parte dell’atleta non professionista ( minore e non ) , non può che ricevere giusto riconoscimento giudiziario, con la conseguenza che tale vincolo sarà ritenuto nullo e l’atleta libero di svolgere attività sportiva con altra società. 

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